Crack SVB: le banche italiane resteranno forti?

Crack SVB: le banche italiane resteranno forti?

Il recente fallimento della Silicon Valley Bank (SVB), unito a una congiuntura caratterizzata dal persistente  trend inflazionistico, potrebbe avere delle ripercussioni anche sul sistema bancario italiano? Questa è la domanda che si pongono in molti, che forse temono, in qualche modo, di rivivere quanto accadde nel 2008 con il crollo della Lehman Brothers e le sue conseguenze negative durate per un buon decennio. Oggi, in tanti sono preoccupati per il rischio di un nuovo effetto valanga ma, per fortuna, almeno in Italia, il sistema sembra godere di una certa solidità.

La BCE si è impegnata nel contenimento dell’inflazione che potrebbe però restare più persistente di quanto previsto, con tutte le conseguenze del caso. Qualora l’inflazione nei prossimi mesi 2023 dovesse abbassarsi, anche i tassi medi dei crediti bancari dovrebbero seguire la stessa traiettoria. Per provare ad arginare l’inflazione, la BCE ha pensato di ridurre il potere d’acquisto dei cittadini, limitando così in modo significativo la domanda di credito, aumentandone i costi: da qui la scelta di incrementare il tasso BCE

Ciò di cui sono certi tutti gli economisti e gli addetti ai lavori è che, fin quando l’inflazione resterà alta, resteranno alti anche i tassi di interesse. Ciò potrebbe rendere ancora più oneroso accedere a un prestito e, una possibile recessione, potrebbe anche aumentare il rischio di default per molte aziende e complicare ancora di più le condizioni di rifinanziamento. I prestiti online oggi garantiscono, in ogni caso, condizioni molto vantaggiose, ma si tratta comunque di un aspetto da tenere in considerazione.

Come reagiranno le banche italiane?

Vista la difficile situazione economica, le piccole banche di credito cooperativo (Bcc) possono esercitare un ruolo molto importante nei rispettivi territori, perfino rispetto a gruppi bancari ben più ampi e strutturati. La conoscenza del territorio diventa infatti estremamente importante per concedere correttamente il credito, selezionando in maniera adeguata le imprese e le famiglie da affidare. La sensazione è, comunque, quella che complessivamente il sistema italiano sia in possesso delle carte in regola per reggere. Questo, almeno, è quello che sostiene Moody’s riguardo il miglioramento della performance finanziaria prevista nel 2023 per grandi gruppi come Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm e Bper Banca.

Ci sono, però, anche notizie meno rosee: Moody’s ha infatti previsto anche un piccolo aumento del costo del rischio, collegato ancora una volta alle conseguenze dell’inflazione e alla stagnazione. L’incremento di questa voce di costo e i relativi accantonamenti a bilancio eroderanno inevitabilmente in parte il margine di interesse degli Istituti di Credito.

Secondo molti specialisti, inoltre, questo rialzo dei tassi starebbe favorendo concretamente le Banche che eseguono operazioni di factoring, ovvero gli Istituti specializzati in quelle forme di credito con cui l’impresa cede a una società specializzata i propri crediti esistenti o futuri, per ottenere in cambio liquidità immediata e una serie di servizi correlati per la gestione del credito ceduto. Il factoring, nello specifico, verrebbe favorito dall’aumento dei tassi, in quanto fa aumentare lo sconto a cui si acquistano i crediti. Le operazioni di factoring pertanto sono più remunerative per chi acquista il credito. 

Insomma, la preoccupazione per le banche italiane è relativamente contenuta, questo per via di un rapporto tra prestiti e depositi del 78% e tra crediti deteriorati lordi e impieghi sotto il 5%. Questo fattore, unito ad altre caratteristiche del sistema bancario italiano, dovrebbe rappresentare una sorta di barriera contro eventuali shock esterni come la bancarotta della SVB. Inoltre, fatto questo da non sottovalutare, i grandi gruppi bancari italiani possono anche fare affidamento su una erogazione del credito che, rispetto agli Stati Uniti, risulta decisamente più diversificata, limitando il rischio di concentrazione.

Secondo molti analisti, la bancarotta della Silicon Valley Bank non dovrebbe, quindi, avere ripercussioni eccessivamente negative in Italia. La SVB potrebbe essere vista anche come un’anomalia contingentata del sistema americano, ovvero una banca che ha portato avanti un modello di business sbagliato e ha investito in strumenti e titoli non adeguati al rendimento atteso. Per quanto riguarda le reazioni dei mercati esteri, la filiale inglese della SVB Uk, per cui la Bank of England ha chiesto lo stato di insolvenza dopo la bancarotta, è stata ceduta a Hsbc, il primo istituto di credito europeo per capitalizzazione. In Italia e in Europa i rischi dovrebbero essere quasi azzerati perché la SVB era concentrata solo su un settore molto specifico, quello delle start-up ad alto contenuto tecnologico, un modello di business molto meno presente e rilevante in Europa rispetto agli Stati Uniti d’America.

Cos’ha portato al fallimento della SVB?

La dinamica che ha causato il crollo della SVB è stata un cambio repentino della politica monetaria americana, con un conseguente aumento dei tassi di interesse. Questo ha creato un disallineamento tra durata dei depositi a breve e il portafoglio titoli della Banca con durate lunghe. Il valore di questi titoli è, infatti, stato ridotto proprio dal rialzo dei tassi. Difficile, quindi, che si possa verificare anche in Italia un problema analogo, ancor più che le banche europee seguono le regole prudenziali di Basilea 3.

In Italia, infatti, il contesto sembra rassicurato da un liquidity coverage ratio, ovvero un indicatore che esprime la capacità di un’istituzione finanziaria di coprire le esigenze a breve con gli asset altamente liquidi detenuti. . Altro aspetto che dovrebbe rassicurare è che, in Italia, il net stable funding ratio, un indice che misura l’equilibrio tra attività e passività, risulta essere del 130%, un indicatore di adeguata salvaguardia.

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